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Jazz in lutto per la morte di Ornette Coleman, gigante della musica del Novecento. Il ricordo
Scritto da Adriano Ghirardo   
venerdì 12 giugno 2015
Nella società dello spettacolo la morte tende a trasformare in protagonista qualunque guitto abbia calcato le scene. Non è una iperbole, al contrario, affermare che la recente dipartita di Ornette Coleman privi il mondo di uno dei giganti della musica del Novecento. E' superfluo, soprattutto per il nostro pubblico, ricordare l'importanza di un sassofonista, compositore ed intellettuale che, partendo dal rifiuto della forma e delle regole imposte dalla tradizione eurocentrica, segnò il jazz moderno e la musica contemporanea tout court. Non sempre le sue scelte sono state comprese ed il dubbio che la sua libertà espressiva fosse figlia di una scarsa abilità strumentistica più che di una ricerca programmata della libertà alberga nel pensiero di alcuni critici tradizionalisti. Chi lo ha amato, invece, dimenticherà difficilmente quel soffio vitale che regalava brividi anche nelle situazioni più intricate senza ricorrere all'urlo ma cercando una sua particolare forma di melodia. Amo ricordare le due occasioni in cui ebbi la fortuna di vedere il genio di Fort Worth esibirsi dal vivo. Nel 1996 presentò il progetto “Sound museum” al Teatro Carlo Felice di Genova sconvolgendo con la sua libertà un pubblico prevalentemente composto da amanti della reiterazione di schemi prefissati. Quella serata, in un certo senso, rappresentava la vittoria del rivoluzionario che ottiene gli spazi che al musicista nero senza compromessi sembravano negati. Nel 2010 a Nizza, invece, interpretò alcuni dei suoi classici quasi intendesse fare un bilancio della sua gloriosa carriera. Fu emozionante, dopo aver riascoltato alcuni brani quali “Turnaround”, vederlo tornare sul palco con andatura malferma per una ultima straziante versione di “Lonely woman”. Negli occhi dell'uomo una grande modestia e quasi lo stupore nel vedere dei giovani avvicinarsi per un autografo o una foto con una leggenda del jazz. In una scena in cui i festival sono diventati evento commerciale più che luogo di elaborazione artistica Ornette rappresentava, ancora una volta, una aurea eccezione di cui sentiremo la mancanza.

 
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